L’evoluzione della Mindfulness per l’autorealizzazione

 In Divieni Chi Sei

Intervista a Simonetta Lavorati

 

Chi sei? Di cosa ti occupi?

Il mio nome è Simonetta Lavorati e sono una Counselor olistica, istruttrice di Mindfulness, formatrice aziendale e biocostellatrice.

Sono autrice del libro My Fullness – 13 storie (quasi) miracolose, nonché creatrice dell’omonimo metodo.

Il mio lavoro consiste nell’accompagnare le persone verso stati psicofisici e di consapevolezza straordinari, a partire da livelli anche di grande disagio, difficoltà e/o confusione.

La mia proposta di crescita personale e spirituale, che è sintetizzata nel metodo My Fullness, è spiegata nel mio sito www.misentodadio.it

In cosa consiste il tuo metodo di lavoro, il modello o i modelli che ritieni validi per i percorsi che proponi?

Il metodo MyFullness che ho sviluppato è il risultato delle mie molte esperienze e della mia formazione accademica e professionale.

In pratica, propongo non solo tecniche di counseling dai vari approcci della psicologia umanista, transpersonale e transgenerazionale, ma anche meditazione, tecniche di rilassamento, varie forme di espressione di sé, tecniche di psicologia energetica, strumenti per la conoscenza di sé e di sviluppo del potenziale, come ad esempio il profilo numerologico o altre modalità di rappresentazione degli archetipi, che non sono altro che modelli di comportamento che agiscono in noi per aiutarci a realizzare la missione dell’anima. E poi letture e altri strumenti sul funzionamento del mondo interiore dell’essere umano, sulla scia dell’adagio  <<Conosci te stesso, possiedi te stesso, trasforma te stesso>>.

Il linea di massima il metodo consiste in un percorso all’interno del quale fare esperienza di un certo mix di tecniche finalizzate a individuare e gestire con successo quelle parti di noi che normalmente ci rendono reattivi. Tale reattività ci impedisce di rispondere agli stimoli della vita in modo efficace, generando sofferenza.

Il processo di cambiamento si articola quindi in cinque fasi (più una sesta eventuale) – che si compenetrano tra di loro ad ogni passaggio – all’interno delle quali sperimentare l’efficacia di tali tecniche, ma anche apprendere il loro utilizzo in autonomia.

Le 5 fasi sono:

  1. Scoperta
  2. Accettazione
  3. Gestione
  4. Comprensione
  5. Trasformazione

L’ultima fase di Espansione rappresenta un ulteriore passo del cliente che, decidendo di esercitare la sovranità sul suo mondo interiore, impara ad usare in autonomia tutti gli attrezzi di lavoro che gli sono stati forniti durante il percorso. Potrà quindi realizzare ulteriori e infinite trasformazioni, percorrendo la via del il “sentirsi da dio” con tutti gli strumenti necessari.

La scelta di utilizzare questa grande varietà di strumenti deriva dall’esercizio della mia professione di counselor e di istruttrice di Mindfulness, che mi ha permesso di verificare i limiti dell’efficacia di qualsiasi approccio applicato singolarmente e rigidamente e non integrato in una visione sistemica e olistica della persona. Ho visto strumenti molto efficaci per alcune persone ma totalmente inutili per altre.

La visione My Fullness offre un più ampio ventaglio di possibilità di intervento rispetto alla Mindfulness, ma presuppone anche una forte corresponsabilità tra cliente e counselor nell’affrontare il disagio che in questa chiave non è altro che una sfida evolutiva – e quindi un’opportunità di crescita – e non una malattia o un disallineamento indesiderato rispetto alle aspettative sociali.

Da questa presa di coscienza ho gradatamente iniziato ad assegnare dei “compiti” che potenziavano e velocizzavano enormemente la risposta trasformativa rispetto al disagio espresso. Al tempo stesso aumentavano il senso di fiducia nel poter prendere in mano le redini della propria vita senza doversi rivolgere all’espero di turno ad ogni difficoltà.

In cosa differisce il tuo metodo dagli altri?

La differenza più importante riguarda l’obiettivo finale: riuscire a sentirsi da dio anche senza essere perfetti o impeccabili.

Questo obiettivo unico e molto ambizioso si realizza grazie alla già menzionata molteplicità di approcci nella relazione d’aiuto, che è sempre di natura evolutiva. Ma è anche caratterizzata dall’alto livello di compartecipazione richiesta ai miei clienti a cui attribuisco un credito di fiducia incondizionato che non viene mai deluso. Sono sempre persone curiose, partecipative e disposte a impegnarsi per stare bene. Proprio perché credo fortemente in loro, insieme creiamo sempre qualcosa di speciale.

Se così non fosse non sarebbero adatte a questo tipo di relazione d’aiuto e a quel punto le orienterei verso altre forme più tradizionali, ma anche più lente e passive, come ad esempio la psicoterapia. In buona sostanza in questa ultima ipotesi si tratterebbe di persone più adatte ad assumere uno status di paziente, piuttosto che di cliente. La differenza risiede nell’intensità delle resistenze al cambiamento che tutti abbiamo, come forma di protezione. Rispettarle nei tempi e nei modi, in linea con i diversi livelli evolutivi in cui si trova ciascuno di noi, è fondamentale per non destabilizzare l’equilibrio emozionale della persona.

Per chi invece è pronto al grande salto, a integrazione dei nostri incontri secondo quanto descritto sopra, propongo inoltre esercizi di consapevolezza semplici, ma anche molto pratici, utili e divertenti. Segnalo libri o film, mando link di video o immagini ispirazionali in grado di fornire spunti di riflessione e rafforzare quanto abbiamo trattato, come un fuoco incrociato di stimoli coerenti che amplifica il messaggio.

In ultimo ci tengo a sottolineare il fatto che la scelta della tecnica o dell’approccio più indicato per il mio cliente, tra i tanti possibili grazie alla molteplicità dei miei interessi e dalla ricchezza delle mie competenze, avviene solamente grazie alla forte connessione che si realizza a ogni incontro, all’insegna dell’amore e dell’accoglienza non giudicante.

Come mai hai scelto le divinità greche nell’impostazione di una parte del tuo lavoro?

Per comprendere la ragione di questa scelta è importante fare una premessa. Alla base dell’approccio che utilizzo esiste la consapevolezza dell’essere umano come essere multisfaccetato, che si manifesta con alcune parti piuttosto che altre, in funzione della situazione stimolo che si è verificata. Le parti di noi non integrate nella nostra consapevolezza, e quindi impossibili da gestire in modo funzionale, sono energie bloccate in epoca infantile e si manifestano con reazioni emotive inappropriate al contesto. In quanto tali, ci causano disagio e sofferenza.

Per familiarizzare con queste parti poco funzionali, anche se assolutamente buone nell’intenzione di proteggerci da ciò che è insopportabile, è importantissimo dare loro una forma, attribuire una qualche identità. Operazione, questa, che ci consente di iniziare un dialogo e negoziare una gamma di comportamenti possibili più ampia rispetto alle nostre reazioni abituali che si manifestano in modo ripetitivo, sempre uguale a se stesse come un disco incantato.

È solo la forma ad essere sempre diversa poiché nella vita non esiste un evento che si ripete perfettamente uguale a se stesso. Mentre i contenuti sono sempre gli stessi che si ripresentano fino a quando non abbiamo realizzato un apprendimento su quel tema.

Detto questo, diventa più facile comprendere che le divinità della mitologia greca rappresentano una personificazione di parti di noi, in forma archetipica, affascinanti, già codificate e riconosciute facilmente in quanto patrimonio della nostra cultura classica. Per fare un esempio, se il mio tema è quello della rabbia e dell’aggressività, sarà facile riconoscere in me l’influenza di Ares, dio della guerra (o Marte nella versione romana), come simbolo dell’energia di conquista che è in me.

Questo tipo di simbologia come aiuta nell’analisi del proprio percorso di realizzazione?

Quello di iniziare a distinguere la differenza tra l’Io osservante e le parti di noi che sono, in maniera squilibrata, in azione è il passo iniziale e fondamentale del cambiamento. Nel momento in cui realizzo la loro personificazione e conseguente disidentificazione da esse, posso iniziare un graduale processo di familiarizzazione e di dialogo a cui accennavo prima. Questo dialogo interiore mi consente di gestirle al bisogno in modo più utile ed efficace rispetto alla loro espressione autonoma e reattiva. A quel punto posso intraprendere un percorso di integrazione di tali parti che mi consenta di diventare sovrano del mio mondo interiore, realizzando così la possibilità di sentirmi da dio. Inizia quindi la fase di espansione in modo autonomo avendo appreso gli strumenti essenziale della gestione di sé. Il mio compito è finito, salvo la mia scelta di esserci al bisogno.

Quindi, in buona sostanza, l’utilizzo delle divinità greche è una possibilità di lavoro molto potente per il suo grado di diffusione nell’immaginario collettivo, ma non è l’unica. La mitologia è assolutamente il cavallo di battaglia dell’approccio immaginale proposto prima da James Hillmann (allievo diretto di C. G. Jung che ha portato alla luce i concetti fondamentali di archetipo e di inconscio collettivo) e poi dalla sua grande discepola diretta dei nostri giorni Selene Calloni Williams, di cui sono allieva.

Sono una forte sostenitrice della teoria della contingenza (non solo di natura organizzativa, ambito in cui nasce),ma soprattutto nella vita. La flessibilità, ovvero la capacità di affrontare l’imprevisto e l’imprevedibile nel qui e ora, è una possibilità che l’essere umano ha perso nella sua illusione di controllo degli eventi. Ogni situazione è veramente unica quindi la cosa importante per affrontarla in modo creativo, cioè non condizionato dalle esperienze del passato, è la forza della connessione con il proprio centro.

Questo stato di coscienza ci consente di far arrivare solamente le idee e le soluzioni che servono in quel momento, fatto di aspetti contingenti non ripetibili e, in quanto tale, unico. Fondamentalmente nel metodo My Fullness non si tratta mai di applicare una tecnica sulla base di un quadro teorico, come potrebbe essere per gli approcci clinici basati sui sintomi. Ma è sempre una questione di energie sottili, di sensibilità che si incontrano e creano insieme una nuova narrazione della realtà.

Qual è la tua visione del sistema vita e al contempo, come agisce su di essa il tuo metodo?

Semplicemente amplio l’osservazione del “sistema vita” integrando il viaggio dell’anima, che è immortale, nelle varie reincarnazioni. Se mi fermo alla dimensione materiale finita di nascita e morte, non riesco a trovare un senso evolutivo. Ma se mi elevo alla visione dell’aquila che dalle sue altezze comprende molti più elementi di quanto si possano considerare dal livello della terra, allora il puzzle è molto più grande, ma ha più senso. Innanzitutto accolgo la visione dell’esistenza terrena come il luogo in cui le anime, espressione diretta del divino che è in noi (così come in tutto il creato), fanno esperienza di sé.

Quindi è un luogo di apprendimento che si realizza attraverso la condizione di restrizione. Grazie al mistero, quindi all’assenza di memoria e di conoscenza, l’apprendimento avviene per pura esperienza. E in questo non c’è giudizio, non ci sono fallimenti o errori, ma solo un errare, cioè un viaggiare alla scoperta del proprio tesoro interiore, il Santo Grahal, come nel viaggio dell’eroe.

Se l’anima vuole realizzare un apprendimento specifico, sceglie il paese, la famiglia e il contesto di vita più appropriato a questo fine, con il patto di non ricordarsi nulla. E porta con sé anche i compiti transgenerazionali, cioè le compensazioni che l’albero genealogico richiede per risanare gli equilibri violati. Oltre al famoso inconscio personale individuato da S. Freud, esistono infatti anche un inconscio familiare e uno collettivo conosciuti dal mondo moderno grazie alle intuizioni di C. G. Jung.

Questi due tipi di inconscio ci mantengono in un perenne stato di connessione con tutto e tutti, oltre lo spazio e oltre il tempo. Questi ultimi sono solo concetti illusori appartenenti alla scenografia del grande spettacolo della vita in cui le anime creano i drammi delle proprie afflizioni. Senza le sfide e le difficoltà sarebbe come guardare un film dove non succede niente, giocare a un video gioco dove non ci sono ostacoli o nemici da abbattere, e via dicendo. Una noia mortale, insomma…

Ma il lumino per ritrovare la strada del ritorno a casa è sempre acceso. Tutti gli eventi, gli incontri che facciamo esistono solo per noi che li interpretiamo con la nostra percezione unica, facendoci da specchio. Rappresentano degli indizi che segnalano il bisogno di trasformare qualcosa in noi, come fosse una caccia al tesoro. Può essere un bisogno di perdono, di lasciare andare qualcosa o qualcuno, di cambiare un nostro schema di pensiero o accogliere qualche nostra fragilità e via dicendo…

Quanto più mi immergo nel mio mondo interiore, facendo silenzio, tanto più accolgo i segnali deboli che mi indicano la direzione, oltre i calcoli fasulli della mente. Ogni nemico, ogni malattia, fallimento o difficoltà sul nostro cammino diventa allora il nostro maestro, cioè la persona o l’evento giusto per segnalarci il nostro tema da affrontare. Rappresenta quindi l’indicazione di dove scavare per stanare la distorsione della mente che abbiamo creato e che ci allontana dal nostro progetto animico.

A questo punto abbiamo compreso che tutto ciò che sembra esterno è in realtà dentro di noi e siamo chiamati a diventare responsabili delle circostanze che creiamo.

Riconosciamo il nostro potere creativo che appartiene ad ogni essere umano in quanto espressione del divino e ci alleniamo ad esercitarlo consapevolmente nella direzione dell’autorealizzazione. Essa si manifesta con la sensazione di sentirsi da dio perché rende felici noi e aiuta il resto dell’umanità a risvegliarsi al proprio potere divino.

Come ti senti oggi nella tua vita professionale? Da dove parte il tuo cambiamento per l’autorealizzazione?

Oggi mi sento da dio, perché perseguo la missione della mia anima che è quella di esprimere la sua unicità. Come nella visione della vita che ho appena descritto, anche il mio personale percorso per l’autorealizzazione è partito dalle difficoltà. I miei talenti erano nascosti dietro le miei più grandi paure (un luogo decisamente difficile da frequentare) e la mia felicità si è manifestata in un lento e graduale processo di “resa” alla mia parte divina. Sono anch’io, come tutti, un’anima in cammino che compie passi falsi nella vita e sperimenta sofferenza. Ma la sofferenza ha acquisito un senso evolutivo e quindi diventa sempre l’occasione per una ricerca di senso e apprendimento di nuove consapevolezze. Il mio essere al servizio non è quindi mai un essere su un piedistallo rispetto agli altri.

Chi sono per lo più le persone che arrivano da te per essere aiutate? Sono giovani, adulti, donne, uomini?

Sono più spesso donne, spesso coetanei che si avvicinano a quella fase di passaggio (dopo i 40 anni) in cui l’anima reclama più forte il desiderio di tornare a casa. Ma anche giovani che sperimentano ansia e difficoltà di adattamento nel mondo proprio perché ci sono moltissime anime evolute che bruciano le tappe del cambiamento. Gli attacchi di panico, sempre più diffusi, ne rappresentano un esempio lampante. Il disagio fisico e sociale, in ogni sua manifestazione, diventa quindi una chiamata ad ampliare la visione della vita per essere nel mondo, ma non del mondo, per sperimentare nuove libertà e il puro piacere di manifestare la propria natura divina nei modi più disparati gioendo della propria responsabilità.

Cos’è che rende più difficile il cambiamento per una persona?

La paura. Le nostre paure sono sempre più rinforzate e costantemente nutrite dalla nostra società. E questo rende più difficile, e talvolta impossibile, la resa cioè il lasciare andare il controllo che illusoriamente pensiamo di avere sugli eventi della vita. Non ce l’abbiamo e non l’abbiamo mai avuto.

La grande sfida da superare è cominciare a fidarsi della vita anche senza prove immediate. All’atto pratico qualsiasi motivo per non cambiare si manifesta come una resistenza a cui abbiamo già accennato prima. I motivi per non cambiare sono molti ma si possono riassumere nella paura di perdere un tornaconto nascosto che esiste sempre dietro a un disagio. Un tornaconto e che non siamo pronti a lasciare andare, nonostante la sofferenza che lo accompagna.

Il rapporto conflittuale che rilevi nella maggior parte delle persone, risiede più nella percezione del corpo o nelle sovrastrutture mentali?

Il corpo è l’espressione materiale di tutti gli aspetti immateriali dell’essere umano, quindi anche di mente e emozioni. I nostri traumi e i conflitti da essi generati risiedono nella memoria cellulare del corpo che diventa quindi una delle possibili vie di guarigione. Ognuno di noi ha le sue predilezioni e tanta scelta per lavorare su di sé verso la liberazione e la guarigione. G. I. Gurdjieff, grande mistico del secolo scorso fondatore della Quarta Via, parlava delle 3 vie: la via dello Yogi, amata da chi predilige il rapporto con la mente, la via del monaco di chi predilige il rapporto con le emozioni e la via del fachiro di chi predilige il rapporto con il corpo.

Qual è la cosa che sostieni e che sconvolge di più le persone che si rivolgono a te?

Sconvolge loro ciò che ha sconvolto me per prima, cioè che noi siamo esseri creatori del nostro destino, spesso inconsapevolmente, e che quindi non esiste una realtà esterna da cambiare. È sufficiente realizzare un processo di cambiamento in noi stessi.

Per le persone è sconvolgente sapere che diamo energia a tutto ciò che rifiutiamo e combattiamo in noi, mentre è sufficiente accoglierlo e prenderci la responsabilità e la cura per poterlo gestire. Che si tratti di ansia, frustrazione, rabbia, paura, tristezza o qualsiasi altra emozione che, apparentemente limita la nostra vita, il segreto è sapere e riconoscere che si tratta di una parte del nostro mondo interiore che chiede accoglienza e protezione da parte della nostra parte adulta.

E l’ultimo elemento di sconvolgimento è che il nostro più grande nemico è il nostro più grande maestro. Una volta appresa la lezione il maestro scompare. A questo proposito, tra le storie dei partecipanti ai miei gruppi mi ha colpito quella di una persona che era in grande conflitto con il suo capo da anni. Grazie a questa grande sofferenza si è impegnata a fondo in un lavoro su di sé, mettendosi in discussione e, alla fine, il suo odiato capo ha dato le dimissioni spontaneamente.

Qual è la citazione che rispecchia di più la tua visione per il cambiamento?

È quella che ho menzionato all’inizio: “Conosci te stesso, possiedi te stesso, trasforma te stesso”, coniata dal grande psichiatra fondatore della Psicosintesi Roberto Assagioli. Dalla sua grande eredità attingo moltissimi strumenti di lavoro di crescita personale per arrivare a chi aspira a sentirsi da dio.

 

Simonetta Lavorati| misentodadio.it